ARTICOLI SUL SANTO GRAAL LA VERITA' LE ERESIE E LE LEGENDE

domenica 19 aprile 2009

I CAVALIERI TEMPLARI


I Cavalieri Templari

I Templari furono un ordine monastico-cavalleresco (cioè erano allo stesso tempo monaci e soldati) fondato nel 1119 da Hugues de Payen, insieme ad altri otto confratelli, a Gerusalemme. Venti anni prima, il 15 luglio del 1099, i principi che avevano sottoscritto la Prima Crociata, indetta da papa Urbano II, avevano riconquistato Gerusalemme sottraendola ai Saraceni. Il principe Baldovino di Fiandra, fratello di Goffredo di Buglione, divenne primo re di Gerusalemme col nome di Baldovino I. La Terrasanta, però, continuava a rimanere terreno pericoloso per i frequenti scontri con i Saraceni che premevano per riprendersi il Santo Sepolcro, così, secondo le fonti storiche ufficiali, nacque l'idea della costituzione di un ordine militare per la protezione e la difesa armata dei pellegrini, organizzata internamente come un ordine monastico. Baldovino, il patriarca di Gerusalemme e tutto l'alto clero appoggiarono l'impresa e il re concesse loro di occupare le vaste scuderie ricavate nei sotterranei della Grande Moschea di Al-Aqsa, costruita sul luogo dove un tempo sorgeva il Tempio di Salomone. Per tale motivo, il gruppo neoformato cominciò ad essere chiamato "Cavalieri del Tempio" e quindi Cavalieri Templari. In realtà come ordine monastico vero e proprio venne approvato soltanto nel 1128, con il Concilio di Troyes, tenutosi sotto il pontificato di papa Onorio II. A spingere il papa, ancora restio all'idea che un monaco potesse essere abilitato a spargere sangue, a concedere loro il riconoscimento ufficiale fu San Bernardo di Chiaravalle, allora massimo esponente dell'ordine dei Frati Cistercensi, che redasse per loro una Regola specifica mutuata da quella dei suoi confratelli. Innocenzo II, che doveva a San Bernardo l'elezione al soglio pontificio, concesse loro nel 1139 una prima serie d'importanti privilegi. Infine Eugenio III, nel 1147, concesse ai Templari, che già indossavano il mantello bianco, l'autorizzazione ad aggiungervi una croce rossa.

Nell’arco di un paio di secoli l'Ordine crebbe divenendo sempre più potente e ricco, acquistando territori in tutta Europa, ma soprattutto in Francia ed in Italia, dove furono fondate le chiese e le “mansioni” più importanti. Anche quando la Terrasanta fu nuovamente e definitivamente perduta, l'Ordine continuò a prosperare, proseguendo la sua opera di difesa dei pellegrini in Europa, lungo le strade che conducevano ai massimi luoghi di culto del tempo: il Santuario di San Giacomo di Compostella, in Galizia (Spagna) e la Basilica di San Pietro, a Roma. Celebre, a tale proposito, è la cosiddetta Via Francigena, o Romea, che collegava questi due luoghi e lungo la quale, in tutti i territori interessati dal suo percorso, si svilupparono mansioni e commanderie templari. La via proseguiva oltre Roma, nell'Italia meridionale, fino ad arrivare agli importanti porti pugliesi (come Bari e Trani) che costituivano scali d'obbligo per tutte le navi che partivano per il Medio Oriente.



Agli inizi del XIV sec. i Templari erano diventati così potenti che ormai agivano per conto loro in tutti gli Stati, senza riconoscere autorità alcuna eccetto quella del Pontefice. Le immense ricchezze accumulate faceva di loro le personalità più ricche e potenti d’Europa, tanto che molti sovrani avevano ricorso a loro per prestiti finanziari (i Templari sono stati i precursori del moderno sistema bancario, con l’invenzione della “lettera di cambio”, antenata degli attuali assegni circolari). Fu appunto un monarca, il Re di Francia Filippo IV il Bello, che decise di porre fine al predominio dei Cavalieri del Tempio (ed al suo debito nei loro confronti che cresceva sempre di più) riuscendo a convincere l’allora papa Clemente V a tacciare l’Ordine di eresia e a farlo perseguire. Ordini segreti vennero inviati a tutti i mandati del Re sul territorio francese, con l'obbligo di apertura simultanea ad una data ben precisa. Fu così che il 13 Ottobre 1307, di primo mattino, per ordine del Re vennero arrestati simultaneamente tutti i Templari di Francia che vennero trovati nelle loro "Case", tra i quali figurarono il Gran Maestro Jacques De Molay, il precettore di Normandia, Geoffrey de Charnay nonché l'ex tesoriere del regno di Francia. Il 13 Ottobre era un venerdì, e da allora il Venerdì 13 è diventato un giorno di sventura e disgrazia. Ogni commanderia templare venne sciolta, i suoi adepti furono catturati e sotto tortura confessarono ogni tipo di nefandezza che i loro persecutori volessero attribuirgli, molti abiurarono la loro fede, altri furono arsi al rogo, altri ancora furono reintegrati in altri ordini, come gli Ospitalieri o i Cavalieri Teutonici. L’ultimo atto di questa farsa in grande scala fu il 18 Marzo 1314, quando su un'isoletta della Senna vennero arsi al rogo Jacques De Molay e Geoffrey de Charnay. Una leggenda ci racconta che prima di morire, il Gran Maestro pronunciò una terribile maledizione contro il Re ed il Papa: «Aspetto davanti al Tribunale di Dio il Re di Francia prima di trecento giorni, ed il papa Clemente V prima di quaranta giorni!». Di fatto, meno di quaranta giorni dopo, nella notte fra il 19 ed il 20 Aprile, Clemente V, che da qualche tempo soffriva di vomito incoercibile, morì a Roquemaure-sur-Rhône, nei dintorni di Avignone. Nel corso dello stesso anno moriva anche Filippo il Bello. Di una male incurabile, dissero alcuni, in seguito ad un incidente di caccia (era caduto da cavallo), secondo altri. Non solo: in poco tempo tutti i discendenti del re morirono per varie cause, e la famiglia di Filippo il Bello si estinse totalmente.

Il Baphomet




Durante il processo contro i Templari, in molte delle confessioni rese dagli imputati, risultò che essi veneravano un idolo barbuto cui davano il nome di Baphomet. Questi riferimenti fecero sì che al novero delle accuse mosse contro l'Ordine si aggiungesse quella di idolatria pagana. Le numerose descrizioni che ne sono state date sono spesso discordi tra loro, ma generalmente si può affermare che tale idolo, se mai sia esistito, era costituito da una testa, provvista di barba, spesso con due o addirittura tre volti. L'adorazione di questa testa era parte integrante delle cerimonie d'iniziazione dei nuovi cavalieri, insieme ad altre pratiche "oscure" quali quella del triplice sputo sulla croce o quella del famigerato "osculum sub cauda", il bacio alla base della spina dorsale, per le quali i Cavalieri vennero accusati anche di blasfemia e sodomia. Nonostante il fatto che molte di queste confessioni furono estorte sotto torture inimmaginabili, e poi ritrattate, i riferimenti ad una testa nel culto templare sono troppi ed in troppi luoghi diversi per essere soltanto l'invenzione di un singolo cavaliere o gruppo. Di teorie, a tale proposito, ne sono state fatte tante.


http://www.angolohermes.com/Approfondimenti/Templari/Templari.html
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SANTO GRAAL


SANTO GRAAL
Sul finire del XII secolo si diffusero nell'Europa occidentale, e in Inghilterra in particolare, racconti che parlavano di un oggetto sacro, dotato di poteri miracolosi. Scritti in forma di poemi, questi racconti leggendari dicevano di come il Sacro Graal (così era chiamato quell'oggetto) fosse apparso ad alcuni in visione e in sogno. E narravano le sue virtù: guariva dalle malattie, saziava la fame, e assicurava lunga vita a chi vi posasse sopra lo sguardo. La cosa strana era che il Graal non sembrava avere una forma ben precisa; poteva apparire come un calice, come una coppa o come un piatto. C'è una versione della leggenda in cui cambia forma non meno di cinque volte nel corso della stessa visione. Qualunque fosse la sua forma, comunque, il Sacro Graal era ritenuto di grande valore, tanto che i Cavalieri della Tavola Rotonda di Re Artù dedicarono la loro vita alla sua ricerca. Nel corso dei secoli numerosi furono i calici presentati come il Sacro Graal, ma fino a oggi nessuno di quegli oggetti è stato giudicato dagli esperti come il vero Graal. Ma cos'è dunque questo talismano che nessuno riesce a raggiungere? Che origine ha? In Giuseppe d'Arimatea, uno dei primi romanzi del ciclo del Graal, scritto dall'inglese Robert De Borron verso il 1190, si dice chiaramente che il Sacro Graal è il calice usato da Gesù nell'Ultima cena. La leggenda narra come il calice finì nelle mani di Giuseppe d'Arimatea, che lo usò per raccogliere il sangue che usciva dalle ferite di Cristo, quando il corpo del salvatore fu lavato e preparato per la sepoltura. Nel secolo XV questa tradizione aveva già assunto chiaramente un'importanza enorme nei personaggi come Renato d'Angiò, che faceva collezione di "coppe Graal".
I sostenitori della sua esistenza materiale affermano che l'oggetto sia custodito in Inghilterra in quanto durante la sua permanenza in Cornovaglia, Gesù aveva ricevuto in dono una coppa rituale da un Druido convertito al cristianesimo e quell'oggetto gli era particolarmente caro. Dopo la crocefissione, Giuseppe d'Arimatea aveva voluto riportarla al donatore ulteriormente santificata dal sangue di Cristo; il Druido in questione era Merlino.
Sia come sia, le peripezie subite dal Graal dopo il suo arrivo in Inghilterra variano in modo considerevole a seconda delle varie fonti. Estrapolando dalla Materia di Bretagna gli episodi più ricorrenti, è possibile tracciare schematicamente il seguito della storia. Giunto a destinazione Giuseppe affida la coppa a un guardiano soprannominato "Ricco Pescatore" o "Re Pescatore" perché, come Gesù, ha sfamato un gran numero di persone moltiplicando un solo pesce. Secoli dopo nessuno sa più dove si trovi il "Re Pescatore" e il Graal è, di fatto, perduto. Sulla Britannia si abbatte una maledizione chiamata dai Celti Wasteland , uno stato di carestia e devastazione sia fisica che spirituale. Per annullare il Wasteland - spiega Merlino ad Artù - è necessario ritrovare il Graal, simbolo della purezza perduta. Un Cavaliere (Parsifal o Galaad "il Cavaliere vergine") occupa allora lo "Scranno periglioso", una sedia tenuta vuota alla Tavola Rotonda, su cui può sedersi (pena l'annientamento) solo "il Cavaliere più virtuoso del mondo", colui che è stato predestinato a trovare il Graal. Ispirato da sogni e presagi, e superando una serie di prove perigliose come il "Cimitero periglioso", il "Ponte periglioso", la "Foresta perigliosa" eccetera, Parsifal rintraccia Corbenic, il Castello del Graal e giunge al cospetto della Sacra Coppa. Non osa però porre le domande <>, contravvenendo così al suggerimento evangelico "Bussate e vi sarà aperto" e così il Graal scompare di nuovo.
Dopo che il Cavaliere ha trascorso alcuni anni in meditazione, la ricerca riprende e finalmente Parsifal (o Galaad) pone il quesito che il Graal fosse il piatto nel quale Gesù Cristo mangiò l'agnello con i suoi discepoli il giorno di Pasqua. E perchè questo piatto fu grato a tutti lo si chiama Sacro Graal . Il Re Magagnato si riprende, il Wasteland finisce; Re Artù muore a Camlann e Merlino sparisce nella sua tomba di cristallo. Il Graal viene a questo punto, siamo intorno al 540, riportato da Parsifal a Sarraz, una terra in medio oriente impossibile da situare storicamente e geograficamente; non è infatti in Egitto, ma "vi si vede da lontano il Grande Nilo" e il suo Re combatte contro un Tolomeo, mentre la dinastia tolomaica si estinse prima di Cristo.
Per secoli non si parlò più del Graal, finché, verso la fine del XII secolo, esso tornò improvvisamente alla ribalta a causa delle Crociate. A partire dal 1095, molti Cavalieri cristiani si erano recati in Terra Santa, ed erano entrati per forza di cose in contatto con le tradizioni mistiche ed esoteriche del luogo e sicuramente qualcuna di esse parlava del Graal, un sacro oggetto dagli straordinari poteri. Grazie ai Crociati, la leggenda raggiunse l'Europa e vi si diffuse. C'è anche chi ritiene che il Graal sia stato rintracciato dai Crociati e riportato nel Vecchio Continente. Se questo corrispondesse alla realtà, dove si troverebbe allora il Graal?
Dove si trova ora il Sacro Graal?

Giuseppe d'Arimatea portò il Graal nel Sud della Francia. Con i suoi seguaci, costruì un castello o un tempio sul Muntsalvach (Montagna della Salvezza) per custodirvi la reliquia. Dove si trovava questo castello? Si sono fatte svariate ipotesi nel corso degli anni, ma è opinione comune che il luogo sia Montségur, in Linguadoca, nel Sud della Francia. Montségur era una fortezza della setta religiosa eretica nota come la setta dei Catari o degli Albinesi, che fiorì tra il XII e il XIII secolo e fu perseguitata dalla chiesa cattolica. Prima che la fortezza capitolasse davanti all'esercito cattolico nel 1244,quattro catari discesero la parete scoscesa della montagna nel cuore della notte per portare in salvo il tesoro, compresa la coppa. Secondo una teoria, la coppa potrebbe essere stata portata in Scozia dai Cavalieri Templari all'inizio del XIV secolo. Quello dei Templari era un ordine di preti guerrieri, fondato nel 1119 con lo scopo di proteggere i cristiani che si recavano in pellegrinaggio a Gerusalemme.Molti Templari erano originari del Sud della Francia, e molti di loro erano simpatizzanti dei Catari. E' quindi possibile che la coppa sia stata affidata loro in custodia dopo la caduta di Montségur. Questa è per la maggior parte degli scienziati l'ipotesi più credibile.

Altre ipotesi possibili:
Castello di Gisors - I Cavalieri Templari avevano stretto rapporti con la Setta degli Assassini, un gruppo iniziatico ismailita che adorava una misteriosa divinità chiamata Bafometto . Per alcuni il Bafometto altro non era che il Graal; prima di essere sgominati, gli Assassini lo avevano affidato ai Templari, che lo avevano portato in Francia verso la metà del XII secolo. Se le cose fossero davvero andate così, ora il Graal si troverebbe tra i leggendari tesori dei templari (mai rinvenuti) in qualche sotterraneo del castello di GISORS.
Castel del Monte - I Cavalieri Teutonici - fondati nel 1190 - erano in contatto sia con i mistici Sufi - una setta islamica che adorava il Dio delle tre religioni, Ebraica, Islamica e Cristiana - sia con l' illuminato Imperatore Federico II Hohenstaufen, a sua volta seguace di quella dottrina. Tramite i Cavalieri Teutonici, i Sufi avrebbero affidato il Graal all'Imperatore, affinché lo preservasse dalle distruzioni scatenate dalle Crociate. In tal caso, il Graal si troverebbe a Castel del Monte, un palazzo a forma di coppa ottagonale edificato apposta per custodirlo.
Takht-I-Sulaiman - Secondo questa ipotesi il Grall sarebbe il simbolico "Fuoco Reale" fonte della conoscenza, adorato dai seguaci di Zarathustra a Takht-I-Sulaiman, il principale centro del culto di Zoroastro. Takht-I-Sulaiman potrebbe essere dunque la mitica Sarraz, da cui il Graal (Fuoco Reale) giunse, a cui ritornò e dove forse si trova ancora.


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http://cianciodj.interfree.it/graal.htm

Graal da Wikipedia

Graal da Wikipedia


Il mito del calice o piatto di Gesù Cristo affonda le sue radici in epoche remote antecedenti al medioevo. La fonte di questa credenza è Jacopo da Varagine, il quale nel 1260 circa, racconta nella Legenda Aurea, che durante la prima Crociata (del 1099), i Genovesi trovarono il calice usato nell'Ultima Cena.

Uno dei primi reperti a cui si attribuì la leggenda, poi detta "del Graal", fu quello che ad oggi viene chiamato il Sacro Catino, ovvero il piatto o calice utilizzato da Gesù nell'Ultima Cena; si tratta di un vaso, intagliato in una pietra verde brillante e traslucida, recuperato dal condottiero della Repubblica di Genova Guglielmo Embriaco Testadimaglio dalla Terrasanta, quando al fianco di Goffredo di Buglione contribuì in maniera decisiva alla caduta di Gerusalemme. Re Baldovino fece scrivere sopra la porta del Santo Sepolcro: Praepotens Genuensium Praesidium, a ricordo della incredibile impresa dei Genovesi e riportò nel 1101 il reperto, che è ancor oggi conservato al Museo del Tesoro della cattedrale di San Lorenzo a Genova.

Le origini del Graal letterario possono invece essere ricondotte ad antiche saghe celtiche intorno ad un eroe viaggiatore che si ritrova in un "altro mondo", su un piano magico parallelo al nostro. In questi racconti il Graal era semplicemente un piatto o coppa, come l’inesauribile cornucopia greco-romana, presentato per significare la natura mistica dell’altro mondo.

Lo sviluppo di ciò che attualmente si conosce come "ciclo" del Graal è stato tracciato in dettaglio dalla ricerca storiografica: il nucleo deriverebbe da una leggenda orale gotica, derivata forse da alcuni racconti folcloristici precristiani e trascritta in forma di romanzo tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII secolo. Gli antichi racconti sul Graal sarebbero stati imperniati sulla figura di Percival e si sarebbero poi intrecciati con il ciclo arturiano. I romanzi del Graal furono originariamente scritti in francese e successivamente tradotti nelle altre lingue europee, senza l’aggiunta di nuovi elementi.



Il Graal appare per la prima volta sotto forma letteraria nel Perceval ou le conte du Graal di Chrétien de Troyes (XII secolo). In questo racconto il Graal non viene mai definito "santo" e non ha niente a che vedere col Calice che avrebbe contenuto il sangue di Cristo. Non si sa neppure di preciso che forma abbia perché Chrétien, descrivendo il banchetto nel castello del Re Pescatore, dice semplicemente che «un graal antre ses deus mains / une dameisele tenoit» (un graal tra le sue due mani / una damigella teneva) e descrive le pietre preziose incastonate nell'oggetto d'oro. Il Graal viene citato di nuovo in una delle scene finali, quella in cui un eremita rivela a Perceval che il Graal porta al padre del Re Pescatore un'ostia, nutrimento spirituale (secondo alcuni però questa scena potrebbe essere una aggiunta spuria .

Una successiva interpretazione del Graal è quella che si trova nel Parzival di Wolfram von Eschenbach, secondo il quale il Graal sarebbe una pietra magica (lapis exillis) che produce ogni cosa che si possa desiderare sulla tavola in virtù della sua sola presenza.

Fu Robert de Boron, nel suo Joseph d'Arimathie composto tra il 1170 ed il 1212, ad aggiungere il dettaglio che il Graal sarebbe la coppa usata nell’Ultima Cena, nella quale Giuseppe di Arimatea avrebbe poi raccolto le gocce di sangue del Cristo sulla croce. Giuseppe avrebbe poi portato la coppa nelle Isole britanniche e lì fondato la prima chiesa cristiana. La cristianizzazione della leggenda del Graal è proseguita dalla Queste del Saint-Graal, romanzo anonimo scritto verso il 1220, probabilmente da un monaco, che fa del Graal la Grazia divina.

Vari cavalieri intrapresero la ricerca del Graal in racconti annessi al ciclo arturiano. Alcuni di questi racconti presentano cavalieri che ebbero successo, come Percival o Galahad; altri raccontano di cavalieri che fallirono nell’impresa per la loro impurità, come Lancillotto. Nell’opera di Wolfram, il Graal fu messo in salvo nel castello di Munsalvaesche (mons salvationis) o Montsalvat, affidato a Titurel, il primo re del Graal. Alcuni hanno identificato il castello con il Monastero di Montserrat in Catalogna.

La leggenda del Graal è riportata anche in racconti popolari gallesi, dei quali il Mabinogion è il più vecchio dei manoscritti sopravvissuti (XIII secolo). Esiste anche un poema inglese Sir Percyvelle del XV secolo. In seguito le leggende di re Artù e del Graal furono collegate nel XV secolo da Thomas Malory nel Le Morte d'Arthur (anche chiamato Le Morte Darthur) che diede al corpus della leggenda la sua forma classica.



Secondo il racconto dei Vangeli sinottici (Matteo 26,26-29; Marco 14,22-25; Luca 22,15-20), durante l'Ultima Cena Gesù prese il pane, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: "Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi"; poi prese il calice, rese grazie, lo diede ai suoi discepoli e disse: "Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza versato per tutti in remissione dei peccati".

Il giorno dopo, Venerdì di Passione, Gesù fu crocifisso. Quando venne deposto dalla croce uno dei suoi discepoli, Giuseppe d'Arimatea, lo avvolse in un lenzuolo e lo portò nella tomba di famiglia che si era da poco fatta costruire lì vicino. Robert de Boron, autore del Roman dou l'Estoire de Graal ou Joseph d'Arimathie (secolo XIII) aggiunge a queste vicende un episodio che non compare né nei vangeli canonici né negli apocrifi: mentre il corpo di Gesù veniva lavato e preparato per essere sepolto, alcune gocce di sangue uscirono dalla ferita infertagli dal centurione; Giuseppe le raccolse nella stessa coppa che era servita per la consacrazione dell'Ultima Cena. Giuseppe lasciò poi la Palestina e si rifugiò in Britannia con il Santo Graal, raggiungendo la valle di Avalon (identificata già con Glastonbury) che sarebbe diventata il primo centro cristiano oltre la Manica.



Il racconto del Re Pescatore riguarda un re zoppo la cui ferita alla gamba rende la terra sterile. L'eroe (Gawain, Percival, o Galahad) incontra il re pescatore ed è invitato ad una festa al castello. Il Graal è ancora presentato come un vassoio di abbondanza ma è anche parte di una serie di reliquie mistiche, che includono anche una lancia che stilla sangue (da alcuni interpretata come la Lancia di Longino) ed una spada spezzata. Lo scopo delle reliquie è di incitare l’eroe a porre domande circa la loro natura e quindi rompere l’incantesimo del re infermo e della terra infruttuosa, ma l’eroe invariabilmente fallisce nell’impresa.



La storia del Re pescatore ed il Graal fu più tardi incorporata nel ciclo arturiano. In principio il racconto del re pescatore fu un episodio inserito prima dell’arrivo di Percival a Camelot, per poi evolvere in una esplicita ricerca del Graal da parte dei dodici cavalieri della Tavola Rotonda.



Già nel Medioevo esistono testimonianze relative al luogo dove sarebbe conservato il Graal. Le più importanti sono:

La fonte più antica sulla coppa dell’Ultima Cena parla di un calice argenteo a due manici che era rinchiuso in un reliquiario di una cappella vicino Gerusalemme tra la basilica del Golgotha e il Martirio. Questo Graal appare solamente nel racconto di Arculfo, un pellegrino anglo-sassone del VII secolo, che l’avrebbe visto ed anche toccato. Questa è la sola testimonianza che il calice fosse conservato in Terra Santa.
Un’altra fonte della fine del XIII secolo parla di una copia del Graal a Costantinopoli. La testimonianza si trova nel romanzo tedesco del XIII secolo Titurel il giovane. Questo Graal sarebbe stato trafugato dalla chiesa del Boucoleon durante la quarta crociata e portata da Costantinopoli a Troyes da Garnier de Trainel, decimo vescovo di Troyes, nel 1204. Viene ricordato lì ancora nel 1610, ma sarebbe scomparso durante la Rivoluzione francese.
Dei due calici sopravvissuti fino ad oggi e creduti essere il Graal, uno si trova a Genova, nella cattedrale di san Lorenzo. La coppa esagonale genovese è conosciuta come il sacro catino. Il calice è di vetro egiziano verde e la tradizione vuole che sia stata intagliata in uno smeraldo. Fu portata a Parigi dopo la conquista napoleonica dell’Italia e tornò rotta. La sua origine è incerta; secondo Guglielmo di Tiro, che scrive verso il 1170, fu trovato nella moschea a Cesarea nel 1101. Secondo un’altra versione di una cronaca spagnola fu trovato quando Alfonso VII di Castiglia prese Almeria ai Mori nel 1147 con l’aiuto genovese; questi in cambio avrebbero voluto solo questo oggetto dal saccheggio di Almeria. L’identificazione del sacro catino con il Graal non è comunque tarda, dato che si trova nella cronaca di Genova scritta da Jacopo da Varagine, alla fine del XIII secolo.
L’altro calice identificato col Graal è il santo cáliz, una coppa di agata nella cattedrale di Valencia. Essa è posta su un supporto medievale e la base è formata da una coppa rovesciata di calcedonio. Sopra c’è una iscrizione araba. Il primo riferimento certo al calice spagnolo è del 1399, quando fu dato dal monastero di San Juan de la Peña al re Martino I di Aragona in cambio di una coppa d’oro. Secondo la leggenda il calice di Valencia sarebbe stato portato a Roma da San Pietro.
http://it.wikipedia.org/wiki/Graal#Collegamenti_esterni

venerdì 17 aprile 2009

LA VERITA' SUL SANTO GRAAL


Misterioso e glorioso, il Santo Graal simboleggia un inafferrabile oggetto del desiderio.

Sebbene oggi sia solitamente identificato come il calice dell'Ultima Cena cercato dagli eroi arturiani, il Graal è stato descritto come un piatto, un ciborium e perfino come una pietra bianca. In effetti per molto tempo il suo nome ha avuto un significato piuttosto mondano.

Il termine Graal appartiene al francese antico e deriva dal latino gradale (per gradi), si riferisce ad un piatto profondo in cui venivano servite le pietanze - portata dopo portata - in un banchetto medievale. Il termine è usato per la prima volta in inglese ("Grail") nel 1330 con pronunce diverse:greal e graile. Le Morte D’Arthur di Sir Thomas Malory (1470) traduce “Holy Grail” ("Santo Graal") sia come "Sankgreal” che “Holy Grayle.”

Egli a volte attribuisce a “Sankgreal” una falsa etimologia, dal francese sang real (sangue reale), cioé "il santissimo sangue di Gesù Cristo".

Questo graal - non ancora "santo"- fa la sua comparsa nel Conte del Graal (conosciuto anche come Perceval), un romanzo cavalleresco francese di Chrétien de Troyes scritto nel tardo 12° secolo. Il graal di Chrétien è un grande piatto prezioso contenente un'ostia che una fanciulla porta durante un banchetto presso un castello incantato. Il re che presiede il banchetto è stato ferito ai genitali e il suo paese è una landa desolata a causa della sua infermità. Né lui né il suo paese possono essere guariti a meno che il giovane eroe del poema, Perceval, domandi: " A chi viene servito il Graal?"

Il poema di Chrétien rimase incompiuto. Quattro sconosciuti autori cercarono di terminarlo. Ma nel 1200 circa un poeta borgognone chiamato Robert de Boron ampliò con successo la storia, sebbene questa sopravviva solo in una prosa conosciuta come Didot- Perceval. Robert trasforma il graal da piatto a coppa dell'Ultima Cena (in cui serve da ciborium piuttosto che da calice) e il re viene ferito dalla sacra lancia di Longino che trafisse il costato di Gesù. Robert aveva precedentemente scritto Giuseppe d'Arimatea in cui la sacra coppa, che aveva anche raccolto il sangue di Cristo alla deposizione dalla croce, nutriva Giuseppe nei 43 anni di prigionia. Dopo varie peripezie in medio oriente, il figlio di Giuseppe porta il Graal in Inghilterra dove i suoi familiari diventano i custodi ereditari del Graal e antenati di Perceval.

Il materiale di Robert fu incorporato nel cosiddetto ciclo arturiano in prosa (1215-35). La parte intitolata La Queste del Saint Graal mostra l'influenza cistercense e probabilmente è stata scritta da un monaco. Questa è la versione più esplicitamente cristiana della leggenda del Graal poiché fa della ricerca un'odissea spirituale che solo i più virtuosi possono portare a termine. Qui il Graal - originariamente il piatto in cui veniva servito l'agnello pasquale - sta a significare la grazia divina.

Il ciclo arturiano fu la fonte maggiore per Malory, la cui opera Le Morte D’Arthur è il racconto "canonico" della storia per gli oratori inglesi. Sia nel ciclo arturiano che in Malory, Sir Perceval/Percivale è uno dei tre cavalieri più puri della Tavola Rotonda. Insieme a Sir Bors e all'irreprensibile Sir Galahad, egli ha il privilegio di prendere parte al rituale del Graal e di ricevere la Santa Comunione dalle mani dello stesso Gesù. Galahad guarisce il re ferito con il sangue di Cristo che stilla dalla sacra lancia. Infine, la compagnia del Graal vede la coppa e la lancia tornare in cielo. Galahad muore subito dopo, Perceval muore un anno dopo essere diventato eremita, e Bors ritorna a Camelot per raccontare la loro storia. Il Santo Graal ora non è più a portata di mano.

Fra Chrétien e Malory, i romanzi cavallereschi si diffusero in tutta Europa dall'Italia alla Spagna fino all'Islanda e portarono con loro la storia del Santo Graal. Il poeta tedesco Wolfram von Eschenbach trasformò il materiale in modo originale per il suo Parzival (1210) Il Graal di Wolfram è una misteriosa pietra bianca forse tratta da un oggetto magico descritto in un romanzo su Alessandro il Grande. Questo Graal è chiamato il lapsit exilis, probabilmente una storpiatura in latino per "piccola pietra". Portata sulla terra dagli angeli all'epoca della caduta di Lucifero, essa genera qualunque cibo e bevanda che i convitati nel castello desiderino, risuscita i morti, cura i malati, e mantiene giovani coloro che la posseggono. Ogni tanto i nomi dei bambini chiamati a servire il Graal appaiono scritti sulla pietra. I ragazzi rimangono celibi e diventeranno cavalieri del santo Graal, conosciuti anche come Templari, ma le ragazze alla fine possono sposarsi. Ogni Venerdì Santo una colomba celestiale posa un'Ostia sulla pietra per nutrire il re ferito. Solo quando il suo giovane e ottuso nipote Parzival alla fine chiede: "Caro zio, cosa ti affligge?", il re viene guarito. Il Graal sceglie Parzival come futuro re.

Le innovazioni di Wolfram non diventeranno mai la norma. Anche la versione dell'opera di Richard Wagner, Parsifal (1882), ripropone il Graal come calice, che è ciò che il suo pubblico si aspettava di vedere. L'eroe di Wagner, oltre ad avere il nome scritto diversamente, è vergine e non più un uomo sposato. Il Lohengrin di Wagner (1850), che vede come protagonista il figlio di Parsifal, è solo marginalmente una storia sul Graal.

Wagner non era certo il solo a trarre ispirazione dal Graal. Sebbene la predilezione per i romanzi cavallereschi si spense dopo il rinascimento, l'epoca Romantica li riscoprì, così come riscoprì il Medioevo. Il ciclo poetico di Alfred Lord Tennyson, Gli idilli del re (completato nel 1885) riuscì a creare un revival quasi da solo. Diventò il soggetto preferito dai Preraffaelliti e da altri artisti vittoriani. I Vittoriani addirittura inventarono una leggenda popolare secondo la quale il Graal giaceva nascosto nel pozzo di Glastonbury macchiandone di rosso le pietre.

L'impatto letterario delle leggende del Graal si protrasse fino al 20° secolo. “The Wasteland” di T. S. Eliot (1925) usa il Graal come metafora del mondo moderno. Charles Williams descrive un conflitto moderno tra bene e male introducendo il Graal nel suo romanzo War in Heaven (1930), mentre le sue opere poetiche Taliessin through Logres (1938) e The Region of the Summer Stars (1944) sono rifacimenti metafisici dei romanzi cavallereschi. Nova di Samuel R. Delany (1968) associa il Graal alla balena bianca di Melville e ne fa una fonte di energia fantascientifica. La landa desolata è Hollywood nel Lancelot di Walker Percy (1978), ma Las Vegas svolge lo stesso ruolo in Last Call di Tim Powers (1992). Moles cerca una pietra bianca simile al Graal nella storia della bestia parlante di William Horwood, Duncton Wood (1980).

I film sono ricorsi alla stessa fonte in modi diversi: farsa in Monty Python e il Sacro Graal (Monty Python and the Holy Grail) 1975, fantasia romantica in Excalibur (1981), avventura in Indiana Jones e l'ultima crociata (Indiana Jones and the Last Crusade ) 1989, e favola moderna in Il re pescatore (The Fisher King) 1991.

Questo piccolo campionario di opere tratte dalle storie del Graal rende testimonianza alla straordinaria ricchezza del simbolo. Da esso sono venuti miti universali: recipienti inesauribili, cibo miracoloso, l'unione fra re e terra oltre a specifici elementi di alcune culture indo-europee, tutte plasmate dalla cristianità medievale.

Le origini del Santo Graal

Gli studiosi concordano sulle origine celtiche del Graal. Il principale sostenitore di questa opinione è lo studioso arturiano Roger Sherman Loomis il cui libro The Grail: From Celtic Symbol to Christian Myth (1963) lo fa risalire alle storie irlandesi di calderoni e boccali che mai si prosciugano così come ai racconti dei viaggi verso il Felice Altromondo. La fanciulla che porta il Graal rappresenta la sovranità dell'Irlanda, una donna che dà la sua coppa solo a chi ne è degno. Questi elementi furono trasmessi al Galles, poi alla Britannia, e i cantastorie bretoni li diffusero nella Francia del nord dove apparvero per la prima volta i romanzi medievali. Loomis sostiene che il materiale è stato alterato da incomprensioni e dal processo orale: non c'era nessun mito del Graal "originale".

Una teoria più recente e controversa è proposta da C. Scott Littleton e Linda A. Malcor in From Scythia to Camelot (1994). Essi fanno risalire i motivi del Graal all'antico popolo della Crimea, gli Sciti, la cui simbolica coppa della sovranità cadde dal cielo e i cui moderni discendenti della ex Unione Sovietica ancora narrano storie su una coppa sovrannaturale che giudica i meriti degli eroi - tra i quali vi è una figura per molti versi simile ad Artù.

Si ritiene che questi miti siano stati portati in Europa da due ondate di invasioni barbariche durante l'epoca romana: la prima fu quella dei Sarmati che furono mandati in Britannia nel secondo secolo e la seconda fu quella degli Alani che si stabilirono in Britannia e Provenza nel 5° secolo. E' probabile che le loro antiche storie si siano mischiate con avvenimenti storici quali il saccheggio di preziosi arredi sacri, forse anche il saccheggio del tempio ebraico, che ebbero luogo durante il sacco di Roma del 410. Littleton e Malcor vedono quest'ultimo evento come l'origine della storia del Graal.

Ma fu il collegamento con la Santa Eucarestia che fissò il Graal nell'immaginazione medievale. Gli antichi miti non avrebbero mai potuto ottenere tale popolarità senza la cristianizzazione che li adattò alla iconografia medievale e alla pratica devozionale.

Gli artisti medievali illustrarono le storie sul Graal con i costumi, gli arredi e l'ambientazione del loro tempo, così come facevano con le scene della Bibbia o dell'antichità classica. Come calice eucaristico, il Graal doveva assomigliare a quelli veramente usati nella liturgia. Gli "accessori " del Graal come la sacra lancia e la spada spezzata di Davide riparata da Galahad ricordano le reliquie, le offerte votive di armi, e le insegne reali conservate nelle chiese.

Oltre al suo uso nell'Ultima Cena - la prima messa - si riteneva che il Graal fosse stato usato per raccogliere il sangue del Signore crocifisso. Il motivo del "calice presso la croce" che era emerso alla fine del primo millennio mostra un calice che raccoglie solo sangue, portato dagli angeli, o dalla mano di una donna allegorica che rappresenta l'Eucarestia ( la Chiesa) che tiene una specie di bastone pastorale con l'altra mano. Sicuramente questo riecheggiava la figura femminile che portava il Graal.

Le storie sul Graal apparvero proprio nel momento in cui la devozione eucaristica cominciava a diffondersi, espressa nell'elevazione dell'ostia durante la messa, nelle processioni Corpus Christi, nelle parabole dei predicatori e nelle storie di miracoli. Ostie che levitavano, sanguinavano, unico cibo dei santi, spesso apparivano nei miracoli eucaristici e nelle avventure del Graal. Si credeva che la devozione all'ostia elevata o esposta comunicasse non solo la grazia ma benessere e protezione, così come succedeva anche con il Graal.

La chiesa medievale non prese una posizione ufficiale sulle storie del Graal. Ma la cattedrale di Valencia sostiene di possedere il vero calice, una coppa di pietra rossa dell'epoca di Cristo trasformata in splendido calice durante il medioevo. La sua leggenda - che non deve niente ai romanzi cavallereschi - sostiene che fu inviata in Spagna dal martire romano S. Lorenzo. Donata alla cattedrale nel 1437, è custodita in una speciale cappella e fu una volta usata per la messa da Papa Giovanni Paolo II.

Le storie si moltiplicano

Nonostante le origini mitologiche, gli abbellimenti letterari e le fantasie popolari, il Santo Graal divenne saldamente collegato alla dottrina cattolica della Presenza Reale. E' Gesù e nessun altro colui che il calice contiene, "Corpo e Sangue, Anima e Divinità". Consideriamo il momento saliente di La Queste del Saint Graal (nella traduzione di P. M. Matarasso). I valorosi re che hanno completato la ricerca ascoltano la Messa detta dal vescovo Josephus, figlio di Giuseppe di Arimatea che era sopravvissuto per anni grazie all'Ostia miracolosa del Graal. Al momento della consacrazione, "discendeva dall'alto una figura come di bimbo, il cui volto brillava e risplendeva come fuoco; essa entrava nel pane che prendeva forma umana sotto gli occhi dell'assemblea". In seguito, Josephus svanì e la compagnia "vide la figura di un uomo apparire dal sacro calice, svestito, con le mani, i piedi e il costato sanguinanti..." E' Gesù in persona che dà la Comunione ai cavalieri, e l'ostia ha un sapore meravigliosamente dolce. La scena riecheggia i miracoli eucaristici in cui Cristo si rivela nell'apparenza del pane. I prototipi pagani sono stati cristianizzati.

Ciononostante le alternative eterodosse hanno ancora i loro seguaci. Per essi una pietra miliare fu il libro di Jessie L. Weston, From Ritual to Romance (1920). Sotto l'influenza di Golden Bough di Sir James Frazer (1890), Weston immaginò che il Graal derivasse dai riti di fertilità e dal folclore popolare così come dagli insegnamenti di misteriose religioni orientali, di Gnostici e Catari oltre che da eresie presenti fra i Cavalieri Templari.

Ma Loomis rigettò tutto quanto condannando pubblicamente "la suggestiva teoria della signorina Weston su un perduto culto misterioso portato da mercanti orientali dal mediterraneo in Britannia, e su segreti riti di iniziazione praticati in epoche remote - una teoria screditata anche dall'assenza di qualsiasi riferimento a tali culti nella massa di testimonianze medievali di eresia." Loomis non dà peso ad un'origine provenzale (presumibilmente catara) per Parzival in quanto "assurda" e rifiuta i suoi cavalieri del Graal, i Templeisen, come veri Templari. Per Loomis, le leggende del Graal sicuramente non erano "le dottrine esoteriche di culti eretici" nè volevano essere una propaganda antipapale. Inoltre gli Gnostici e i Catari, antimaterialisti com'erano, non avrebbero mai potuto vedere Cristo presente nell'Eucarestia.

Weston rese popolare anche l'idea dei quattro elementi del Graal (coppa,lancia,spada, pietra) che si sarebbero perpetuati nei semi delle carte dei Tarocchi (coppe, bastoni, spade, pentacoli) e poi nei semi delle comuni carte da gioco. Le screditate idee di Weston sono ancora popolari tra gli occultisti dei nostri giorni come Margaret Starbird che definisce i tarocchi come il catechismo cataro. Questo ignora comodamente la storia reale, in cui le carte dei tarocchi furono inventate all'inizio del 15° secolo in Italia come innocuo gioco - non come pratica occulta- e posticipa la comparsa delle carte da gioco di almeno 50 anni. Tutto questo non ha nulla a che vedere con i Catari o i Templari.

Il Graal come simbolo di conoscenza segreta affascinò anche Adolf Hitler. Il nazista affascinato dall'occulto mise 12 ufficiali delle SS come Cavalieri del Graal in un castello ricostruito a Vevelsburg, Vestfalia, dove i loro riti sinistri probabilmente includevano anche sacrifici umani.

I pagani e i neo-gnostici vanno ancora matti per il Graal, ma l'interpretazione esoterica oggi dominante è quella promossa ne Il Codice Da Vinci di Dan Brown (2003). Brown afferma che il Graal sia il grembo di Maria Maddalena che portò il figlio di Gesù, stabilendo una discendenza di sangue sacro che ancora continua, e questa ricerca del Graal era una copertura per la ricerca del "divino femminino" perduto. Le affermazioni di Brown si basano in gran parte su Holy Blood, Holy Grail, un saggio di pseudo-storia senza alcun fondamento di Michael Baigent, Richard Leigh, e Henry Lincoln (1982).

Al contrario di quanto asserisce Brown, sia dalla Scrittura che da fonti patristiche si evince chiaramente che i cristiani hanno sempre creduto alla divinità di Gesù - e non c'è nessuna evidenza di una relazione sessuale fra lui e la Maddalena (vedi il mio articolo “Dismantling The Da Vinci Code,” Settembre 2003, Crisis). Sebbene il Graal come calice sia femminile in senso freudiano, esso - dalla sua prima comparsa nella letteratura medievale- ha sempre contenuto la Santa Eucarestia.

Tuttavia l'unica persona che può asserire di essere un Graal vivente è Maria la madre di Dio, non Maria Maddalena. Con la gravidanza e con l'allattamento, la Santa Madre di Dio ha donato il suo sangue e il suo latte per farsi il Corpo e il Sangue di Cristo. Di conseguenza, essa è onorata con una litania di titoli che santificano la donna-che-contiene: Arca dell'Alleanza, Casa d'oro, Tabernacolo dell'eterna Gloria.... Questo Santo Graal fu assunto in cielo, tuttavia il calice e il ciborium di ogni messa sono veri Graal. E così a ciascuno di noi è concessa la grazia di essere Galahad, poiché la nostra ricerca terrena del Graal termina all'altare.

http://www.acquaviva2000.com/STORIA/vera%20storia%20del%20santo%20graal.htm

giovedì 16 aprile 2009

IL GRAAL


SUL GRAAL

Il termine Graal deriva dal latino Gradalis, con cui si designa una tazza, un vaso, un calice, un catino.
Questi umili oggetti rivestono nella mitologia un nobile ruolo: sono infatti i simboli del grembo fecondo della Grande Madre, la Terra, e, come l'inesauribile Cornucopia dei Greci e dei Romani, portano vita e abbondanza.
Molti eroi celtici hanno avuto a che fare con magici calderoni; nel poema gaelico 'Preiddu Annwn' Re Artù andò a recuperarne uno addirittura negli Inferi.
La tradizione cristiana annovera almeno due sacri contenitori: il Calice dell'Eucarestia e la Vergine Maria.
Nella 'Litania di Loreto' essa è descritta come Vas spirituale, vas honorabile, vas insigne devotionis, ovvero "vaso spirituale, vaso dell'onore, vaso unico di devozione": nel grembo (vaso) della Madonna, infatti, la divinità era divenuta manifesta.

La tradizione vuole che il Santo Graal sia stato retto da tre lastre .
Il Charpentier individua queste lastre con tre possibili vie di mutazione dell'individuo: quella dell'intuizione, quella dell'intelligenza e quella della mistica.
Sono le tre lastre che nella navata centrale della Cattedrale di Chartres si susseguono, dal portale di ingresso all'abside, da quella circolare a quella quadrata, a quella rettangolare. Esse rappresentano per il fedele la via verso la conoscenza del Santo Graal.


Il Santo Graal è la coppa che servì all'ultima Cena, è il vassoio dove Gesù e i Discepoli mangiarono l'agnello il giorno di Pasqua, è il vaso in cui Giuseppe di Arimatea, dopo la crocifissione, raccolse il sangue del Cristo.
Esso è dunque un contenitore che allo stesso tempo è anche pietra; sia esso il vaso di pietra o il vaso che contiene la pietra (GAR - AL), oppure la pietra di Dio (GAR - EL).
E' opinione oggi che la sola interpretazione delle oscurità e delle apparenti contraddizioni della storia del Graal porta a un confuso ricordo di una forma di culto semi-Cristiano e semi-Pagano il cui oggetto centrale era l'iniziazione nelle sorgenti della vita fisica e fra la Cristianità e il culto di Atti spirituale. Questo ricordo soltanto si accorda per le diverse forme assunte dal Graal, simbolo di tale sorgente.

Così il Graal può essere il Piatto con cui i fedeli partecipavano alla festa comune: può essere la Coppa in giustapposizione con la Lancia, simboli delle energie maschili e femminili sorgenti di vita fisica ben note: emblemi fallici. Può essere il Santo Graal sorgente di vita spirituale, la cui forma non è definita, "che non è lavorato in alcuna sostanza materiale". "Non era di legno, né di alcun genere di metallo, né tampoco di Pietra, o di Corno, o di Osso"; è un Oggetto Spirituale, da essere considerato spiritualmente, ma sempre, e in qualsiasi forma: Una Sorgente di Vita. Così la Pietra di Wolfram, la pura vista della quale preserva tutti gli abitanti del Castello del Graal non solo in vita, ma in Gioventù; non è che la popolare Pietra Filosofale, quella pietra che gli Alchimisti asserivano possedesse la fonte di tutta la vita.
Quando il Graal fu elevato nel piano Cristiano puramente ortodosso, e diventò la sorgente non più di vita fisica, ma spirituale, una tale sostituzione fu possibile attraverso la Pietra Alchemica.

Il possesso del Graal è da considerarsi intimamente connesso con la coscienza di quel "senso dell'eternità" che costituisce l'elemento base per il raggiungimento di uno stato reale di iniziazione.
Il Santo Graal è quindi una coppa di resurrezione a nuova vita spirituale e non già recipiente materiale dove viene raccolto il sangue di Cristo.
Prova ne è la grande considerazione in cui presso i Catari era tenuto il Vangelo di Nicodemo che altro non può essere se non un preciso simbolismo per il raggiungimento di un particolare stato di realizzazione dell'individuo.
Infatti, non poteva esistere nella dottrina Catara alcuna possibilità di venerazione verso una reliquia che aveva contenuto il sangue di Cristo essendo, per essi, la morte stessa del Cristo una manifestazione satanica.
Essi negavano la possibilità di una morte ignominiosa sulla croce del Dio incarnato e quindi, se i Catari hanno parlato del Santo Graal questo non può che avere avuto un significato simbolico e quindi non può essere stato una coppa, ricettacolo del sangue del Figlio di Dio, ma una coppa di resurrezione e di vita spirituale.
E' proprio questo termine, "resurrezione", che è forse il più adatto a definirlo, sottolineando esso un preciso momento di rinascita spirituale e quindi di una morte della materialità dell'individuo. Se vogliamo dare credito alle molte leggende che vogliono vedere nel Santo Graal il tesoro che i "Perfetti" lasciarono in custodia ai Catari prima di essere arsi vivi sui roghi di Montségur, non possiamo assolutamente considerarlo come un qualche cosa di materiale.
Esso deve perciò essere cercato e trovato nella propria anima; è un tesoro divino, una completa coscienza della propria spiritualità. E questa completa rinascita dello spirito che ha permesso ai perfetti di affrontare i roghi della crociata cattolica romana ed è essa stessa il vero tesoro lasciato ai Catari.

Il GRAAL si identifica con il Paradiso Terrestre, dove l'individuo si estrania dalla temporalità e può contemplare tutte le cose in relazione all'eternità.

Il duplice senso della parola Graal.

Essa significa, al tempo stesso, vaso (grasale) e libro (gradale), e la pietra ed il libro si fondono in uno stesso simbolo.
Il libro diventa una scrittura tracciata dal Cristo stesso sulla coppa, oppure le Tavole della Legge di Mosè, o l'enorme pietra preziosa con scolpite alcune figure rappresentanti i simboli del dualismo Cataro.
Quest'ultimo, forse, è il Tesoro che i Perfetti lasciarono ai Catari.
0 ancora, la Tavola di Smeraldo di Ermete Trismegisto che contiene il simbolismo della tradizione e dello stato e indica le tre vie per il suo raggiungimento.

LEGGENDE SUL GRAAL

Racconta la leggenda che quando Satana si ribellò a Dio, un enorme rubino che brillava sul suo elmo venne colpito dalla spada di San Michele, e cadde negli oceani della terra. Aggiunge la leggenda che esso fu ritrovato dal Saggio Re Salomone tramite la sua magia e fu trasformato dal Re stesso in una coppa per le libagioni.
Detta coppa fu adoperata poi da Gesù nell'ultima cena.
Trasformata in seguito in un vaso da unguento fu portata in Inghilterra da Giuseppe da Arimantea, e quindi scomparve.


Il Graal è associato a un libro scritto da Gesù Cristo alla cui lettura può accedere solo chi è in grazia di Dio. Le verità di fede che esso contiene non potranno mai essere pronunciate da lingua mortale senza che i quattro elementi ne vengano sconvolti.
Se ciò dovesse accadere, i cieli diluvierebbero, l'aria tremerebbe, la terra sprofonderebbe e l'acqua cambierebbe colore. Il libro-coppa possiede dunque un temibile potere.
Il Graal è collegato sia a tradizioni ebraiche sia islamiche: è infatti in relazione con una terra chiamata "Sarraz", impossibile da situare storicamente o geograficamente (non è in Egitto, ma si vede da lontano il Grande Nilo"; il suo Re combatte contro un Tolomeo, mentre la dinastia tolomaica si estinse prima di Cristo), ma situata comunque in Medio Oriente.
Da essa, infatti ebbero origine i Saraceni.

Nel poema Parzival, il tedesco Wolfram Von Eschenbach si legge che non si tratta di una coppa ma bensì di " una pietra del genere più puro chiamata lapis exillis.
Il termine lapis exillis è stato interpretato come "Lapis ex coelis", ovvero caduta dal cielo: e, difatti, Wolfram scrive che la pietra era uno smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero e portato a terra dagli angeli rimasti neutrali durante la ribellione.
La tradizione esoterica delle pietre sacre, tramiti fisici tra l'uomo e Dio, è tipicamente orientale: la pietra nera conservata nella Ka' ba è l'oggetto più sacro della religione islamica; i seguaci della Qabbalah ebraica utilizzano il termine "Pietra dell'esilio" per designare lo Shekinah, ovvero la manifestazione di Dio nel mondo materiale; ancora più a Oriente, l'Urna incastonata nella fronte di Shiva della tradizione induista, simboleggia il "Terzo Occhio", organo metafisico che permette la visione interiore.

Del Graal si parla anche nella tradizione lucchese del "Volto Santo".
Nel VIII secolo un vescovo di nome Gualfredo si recò a Gerusalemme per visitare i luoghi sacri; là il pellegrino compì varie penitenze, digiuni ed elemosine. Fu allora che, per compensarlo della sua devozione, gli comparve un angelo, il quale lo invitò a cercare con diligente devozione nella casa presso la sua: là avrebbe scoperto "il volto del redentore", cui tributare degna venerazione.
Così, nella dimora di un certo Seleuco, Gualfredo ritrovò il "Volto Santo", un antico crocifisso scolpito in cedro del Libano dall'apostolo Nicodemo, lo stesso che aveva aiutato Giuseppe d'Arimatea a togliere dalla croce il corpo di Gesù.
In una cavità dietro la croce si trovava un'ampolla con il sangue di Cristo.
Croce e ampolla vennero caricate su una nave di grandezza straordinaria, che, guidata dagli angeli e senz'altro equipaggio, attraversò il Mediterraneo in tempesta e approdò sulle coste della Lunigiana.
Le reliquie furono disputate da Lucchesi e Lunesi, e si stabilì che il Volto Santo sarebbe stato portato a Lucca (dove è tuttora visibile nella cattedrale di San Martino), e l'ampolla sarebbe rimasta a Luni, dove se ne sono perse le tracce.

La maggior parte degli studiosi concordano nel ritenere le Crociate l'avvenimento scatenante. A partire dal 1095, molti Cavalieri cristiani si erano recati in Terra Santa, ed erano entrati per forza di cose in contatto con le tradizioni mistiche ed esoteriche del luogo: sicuramente qualcuna di esse parlava del Graal, un sacro oggetto dagli straordinari poteri. Grazie ai Crociati, la leggenda raggiunse l'Europa e vi si diffuse. C'è anche chi ritiene che il Graal sia stato rintracciato dai Crociati e riportato nel Vecchio Continente. In tal caso vi si troverebbe ancora.

I Cavalieri Templari avevano stretto rapporti con la Setta degli Assassini, un gruppo iniziatico ismailita che adorava una misteriosa divinità chiamata Bafometto . Per alcuni il Bafometto altro non era che il Graal; prima di essere sgominati, gli Assassini lo avevano affidato ai Templari, che lo avevano portato in Francia verso la metà del XII secolo; e del resto Wolfram aveva battezzato Templeisen i cavalieri che custodivano il Graal nel castello di Re Anfortas. Se le cose fossero davvero andate così, ora il Graal si troverebbe tra i leggendari tesori dei templari (mai rinvenuti) in qualche sotterraneo del castello di GISORS.

Dopo che il culto di Zoroastro era stato disperso, alcune delle sue dottrine furono ereditate dai Manichei, e, di seguito, dai Catari o Albigesi; questi ultimi erano giunti in Europa dal Medio Oriente, passando per la Turchia e i Balcani, e si erano stabiliti in Francia nel XII secolo. Nel 1244, dopo una lunga persecuzione da parte del Papato e dei francesi, furono sterminati nella loro fortezza di Montsegur; se avessero portato con sé il Graal durante le loro peregrinazioni, ora esso potrebbe trovarsi insieme al resto del loro tesoro in qualche impenetrabile nascondiglio del castello. È di nuovo Wolfram a fornire un indizio in proposito: il "Castello del Graal" (quello simile a Takht-I-Sulaiman) si chiama infatti "Munsalvaesche", cioé "Monte Salvato" o " Monte Sicuro". Negli anni '30 il tedesco Otto Rahn, colonnello delle SS e autore di 'Crusade contre le Graale La Cour de Lucifer', intraprese alcuni scavi a Montsègur e in altre fortezze catare con l' appoggio del filosofo nazista Alfred Rosenberg, portavoce del Partito e amico personale di Hitler: l'episodio fornì al romanziere Pierre Benoit, lo spunto per il romanzo 'Monsalvat'.

Importato forse dai pellegrini che si spostavano per l'Europa durante il medioevo o forse dai Savoia insieme alla Sacra Sindone, il Graal sarebbe giunto nel capoluogo piemontese; le statue del sagrato del tempio della Gran Madre di Dio, sulle rive del Po, indicano, a chi è in grado di comprenderne la complessa simbologia, il nascondiglio della Coppa.

Nel 1087, un gruppo di mercanti portò a Bari dalla Turchia le spoglie di San Nicola, e in loro onore venne edificata una basilica. In realtà la translazione del Santo era solo la copertura di un ritrovamento ben più importante, quello del Graal.
I mercanti erano in realtà cavalieri in missione segreta per conto di Papa Gregorio VII. Il Pontefice era al corrente del potere del Calice, ma non intendeva pubblicizzare la sua ricerca, né l'eventuale ritrovamento, in quanto esso era un oggetto pagano, o comunque il simbolo di una religione ancor più universale di quella cattolica.
Gli premeva di recuperarlo da Sarraz in quanto temeva che la sua presenza sul suolo turco avrebbe aiutato i Saraceni (in questo caso i Turchi Selgiuchidi) nella loro espansione ai danni dell'Impero Bizantino, e avrebbe nociuto al programmato intervento di forze cristiane in Terra Santa a difesa dei pellegrini.
Non è dato di sapere dove si trovava la coppa (che, forse, era passata per le mani di San Nicola nel VI secolo, e che gli avrebbe conferito la fama di dispensatore d'abbondanza ) e chi comandò la spedizione; sta di fatto che, in una chiesa sconsacrata di Myra, i cavalieri prelevarono anche alcune ossa, poi ufficialmente identificate come quelle del Santo.
Il recupero delle spoglie giustificò la spedizione in Turchia e l'edificazione di una basilica a Bari; la scelta di custodire il Graal in quella città anzichè a Roma fu determinata da due motivi: da lì si sarebbero imbarcati i cavalieri per la Terra Santa (la prima crociata fu bandita sei anni dopo il ritrovamento) e il Graal avrebbe riversato su di loro i suoi benefici effetti; in più la sua presenza avrebbe protetto Roberto il Guiscardo, Re normanno di Puglie, principale alleato del Papa nella lotta contro Enrico IV.
A ricordo dell'avvenimento, sul portale della cattedrale (edificata parecchi anni prima della divulgazione della "Materia di Bretagna") si trova l'immagine di Re Artù e un'indicazione stilizzata del nascondiglio; la tomba di San Nicola continua a emanare un liquido chiamato "manna" che, oltre a essere altamente nutritivo, come il Graal guarisce da ogni male.

CONCLUSIONI

Il Graal è un oggetto materiale e spirituale insieme. Non si conosce esattamente la sua natura: forse è una pietra, forse è un libro, forse un contenitore; è certo che permette di abbeverarsi (l'ultima cena), ma vi si può anche versare qualcosa (il sangue di Cristo crocefisso).
Può guarire le ferite, dona una vita lunghissima, garantisce l'abbondanza, trasmette e garantisce la conoscenza, ma è anche dotato di poteri terribili e devastanti.
In qualche modo ignoto Gesù ne è entrato in possesso.
Le varie leggende a proposito del Graal concordano nel conferirgli un origine ultraterrena.
Per la tradizione cristiana, il Graal rappresenta l evangelizzazione del mondo barbaro, operata dai missionari, Giuseppe d'Arimatea, stroncata dalle persecuzioni e ripresa da un gruppo di uomini di buona volontà guidati da un sacerdote, Merlino.
Per gli esoteristi Renè Guenon e Julius Evola il Graal è il cuore di Cristo, potente simbolo della Religione Primordiale praticata ad Agharti, di cui Gesù sarebbe stato un esponente; per gli alchimisti rappresenta la conoscenza, e la sua ricerca equivale a quella della Pietra Filosofale o dell Elisir di lunga vita.

http://www.bethelux.it/graal.htm